FRATTURA
La frattura in medicina è la rottura parziale o totale della continuità di un osso. (Wikipedia)
E’ quasi impossibile pensare ad una frattura senza avvertire lo stato di allarme con cui questo concetto investe la mente. Fratturare, con il suo corrispettivo inglese to fracture, è verbo drammatico, dal suono ruvido, rigoroso nell’immaginario che costruisce.
Non lascia scampo ad equivoci: ciò che è fratturato suggerisce una condizione di emergenza persino maggiore di ciò che si è rotto.
Lo stato di frattura annuncia, in sostanza, la netta fine del concetto di continuità e la costituzione di una forma nuova, spezzettata, fatta ancora di qualche pieno ma, soprattutto di molti vuoti. Ed il vuoto, l’informe, l’irregolare sono concetti che non hanno ancora smesso di essere altamente disagevoli e provocatori nel nostro immaginario collettivo.
Fu chiaro sin dalle avanguardie storiche, che fecero del concetto di frattura uno stendardo, che molti artisti si sarebbero dedicati all’indagine del perturbante, segnalando o auspicando rotture con “la continuità” del senso e della forma comunemente intesa.
I nuovi media quali video e fotografia costituirono già dalla loro nascita e ingresso nel mondo dell’arte, una netta frattura di quell’osso compatto che era stato il sistema di produzione e fruizione artistica. Ma dentro questa prima frattura se ne è aggiunta una seconda: il rapporto tra la realtà percepita che esiste fuori dall’occhio meccanico/digitale di questi media e ciò che viene elaborato al loro interno. Questa frattura tra dentro e fuori, tra il nostro quotidiano e le mille sue declinazioni digitali, ci obbliga a domandarci in quale delle due realtà/sistema stiamo realmente abitando. A quale mondo possibile appartengono quindi i corpi, gli oggetti e gli stati d’animo che compongono le immagini degli artisti in mostra?
Le “fractures” di cui ci parlano i tre autori mettono in discussione le forme canoniche d’identità, di corpo e di oggetto proponendoci stati inquieti di passaggio tra una forma precedente e un’altra ancora in divenire, in costruzione, che oscilla tra il verosimile e l’improbabile.
Corpi non omologati a regole imposte di grazia e bellezza come nel caso dei ballerini dei video di Alessandra D’Innella, stati annichiliti, disconnessi da ogni forma di relazione con l’altro nelle figure di Stefania Mattu, oggetti che ci ingannano, sfuggendo all’ordine del reale nel caso di Adrian Samson.
Ciò che emerge dai loro immaginari è un incertezza, il tradimento di un’aspettativa, l’abbandono della realtà familiare in favore di dimensioni non determinabili. La stessa sensazione che si ha nel cercare di definire al giorno d’oggi che cos’è un’immagine, che cosa ci fa credere e dove ci porta.
Federica Landi
THE MAMMOTHE REFLEX
Fractures: l’incertezza dell’identità. Tre artisti in mostra a Rimini
Rimini (IT)
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